Commissario muoviti

ACQUA CONTAMINATA: IL COMMISSARIO DIA SEGUITO A QUANTO APPROVATO NEL CONSIGLIO COMUNALE DEL 20 SETTEMRE 2007:

PUBBLICAZIONE DELLE ANALISI SULLA QUALITA’ DELL’ACQUA EROGATA E COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE NEI PROCESSI IN CORSO.

DOPO RELAZIONE ISS CON CHE FACCIA CHI VOTÒ CONTRO OGGI SI RICANDIDA?

Nei giorni scorsi è stata depositata in Corte d’Assise a Chieti  al processo che vede imputati 19 dirigenti della ex Montedison per avvelenamento delle acque, una relazione dell’Istituto Superiore di Sanità “Relazione a cura dell’Istituto Superiore di Sanità in merito alla pericolosità per la salute umana dei fenomeni di contaminazione delle ac

que  nel sito di Bussi sul Tirino 30 gennaio 2014”. Nella relazione si legge che fino al 2007 compreso (anno in cui i Pozzi S. Angelo posti a valle delle discariche e del polo chimico di Bussi sul Tirino a seguito di denunce e manifestazioni di Rifondazione, ambientalisti e Forum Acqua furono chiusi)  “’acqua contaminata da sostanze di accertata tossicità è stata distribuita in un vasto territorio e a circa 700 mila consumatori, senza limitazioni d’uso e di controllo anche per fasce a rischio di popolazione, utenze sensibili come scuole e ospedali”  .

È certo che buona parte della città di Montesilvano abbiamo bevuto l’acqua proveniente da  pozzi contaminati. Abbiamo protocollato richiesta al Commissario per dare seguito a quanto approvato dall’amministrazione comunale  nel consiglio comunale del 20 settembre 2007  a seguito della discussione  e votazione dell’ordine del giorno a firma Cristian Odoardi (già consigliere di Rifondazione Comunista) in merito ai seguenti punti:

1)     “a favorire ai cittadini tutte le informazioni relative alla qualità dell’acqua erogata nel triennio 2004/2007 e annualità future sul sito internet del Comune”.

2)    “nel caso di accertamento di responsabilità il Comune si impegna a costituirsi parte civile in eventuali procedimenti”.

Si fa presente che è ancora possibile costituirsi parte civile  nel procedimento penale n. 12/06 R.G.N.R. innanzi al GUP presso il Tribunale di Pescara nei confronti di Giorgio . D’Ambrosio (candidato alle regionali per il PD), Bruno Catena, Bartolomeo Di Giovanni, Lorenzo Livello, Roberto Rongione nelle rispettive qualità di ambito ATO, ACA e SIAN ASL Pescara nel procedimento penale n. 12/06 R.G.N.R, perchè “concorrevano a somministrare per il consumo, immettendole nella rete acquedottistica, le acque destinate all’alimentazione umana emunte dai pozzi” contaminati da sostanze altamente tossiche per la salute umana, come confermato dalla Relazione dell’Istituto Superiore di sanità

È vergognoso che votarono contro l’ordine del giorno che prevedeva in aggiunta ai punti sopra evidenzianti le richieste di chiusura dei pozzi S. Angelo contaminati e di avvio dell’indagine epidemiologica i consiglieri  Adriano Chiulli (PD), Feliciano D’Ignazio (PD), Francesco Di Pasquale (PD), Gabriele Di Stefano(PD), Pietro Gabriele (UDC) e Leo Brocchi. Dopo la relazione dell’Istituto Superiore di Sanità  con che faccia chi votò contro oggi si ricandida?  Spiace che per alcuni vale di più la fedeltà agli esponenti del “Partito dell’acqua” che  la salubrità dell’ambiente e la salute dei cittadini. 

L’Altra Montesilvano

 

richiesta commissario prefettizio per applicazione odg acqua

 

Acqua inquinata: non è vero che non si sapeva nulla!!!

E ora tutti si indignano per la “scoperta” dell’inquinamento delle falde acquifere che servivano mezza regione… eppure nel 2007  feci ben due ordini del giorno in consiglio comunale a Montesilvano… non è proprio vero che nessuno sapeva…  di seguito a vostra disposizione sia le copie degli ordini del giorno sia la trascrizione dei consigli comunali che si occuparono delle mie richieste… da notare alcune date… il 2 agosto 2007 protocollo il primo odg e il 3 agosto 2007 vengono chiusi per la prima volta i pozzi incriminati che però vengono riaperti poco dopo in quanto misero dei filtri che si rivelarono inutili … nel frattempo il 9 settembre 2007 protocollo un’altro odg che si discusse il 20 settembre… di li a pochi giorni i pozzi vennero chiusi di nuovo e definitivamente (novembre 2007)

non è che mi piace in questo caso dire che “avevo ragione”… ma così è stato…

nel consiglio comunale del 20 settembre però venne approvato tra gli altri un punto fondamentale “nel caso di accertamento di responsabilità il Comune si impegna a costituirsi parte civile”… pertanto alla luce degli ultimi avvenimenti chiedo che il commissario prefettizio oggi alla guida del Comune di Montesilvano faccia il suo dovere e costituisca il Comune di Montesilvano parte civile nel procedimento in corso…

odg analisi acqua 2 agosto 2007

cc 9 agosto 2007

odg acqua 9 settembre 2007

cc 20 settembre 2007

Senza democrazia l’Europa muore

Questa volta le elezioni europee possono essere veramente europee, ovvero non semplicemente per mandare dei segnali alla politica nazionale, ma per dire che tipo di Europa vogliamo.

Al momento si confrontano due idee di Europa. Con una certa approssimazione, si possono definire, l’una come l’Europa dei “mercati prima di tutto”, l’altra come la (non)Europa delle “nazioni prima di tutto”.

Sono entrambe antistoriche ed ancorate al passato: la prima è una visione precedente alla crisi finanziaria e ambientale, la seconda invece legata addirittura all’ottocento. Sono entrambe idee perdenti che porteranno all’impoverimento e alla marginalizzazione dei popoli europei nel mondo globalizzato.

I sostenitori di queste tesi sono eterogenei  e tutt’altro che identici.

Fra i sostenitori della prima troviamo seppur con diverse sensibilità sia la destra della Merkel sia la “quasi sinistra” del PD o della SPD.

Fra i sostenitori della seconda, i fascisti e gli xenofobi della Le Pen e della Lega ma anche i venditori di fumo dei grillini.

Non sono certo uguali ma la loro idea di Europa si assomiglia e porta, purtroppo, al fallimento ed alla morte del sogno Europeo.

Tutte e due queste visioni dell’Europa sottintendono un errore di fondo: la stima negativa delle interdipendenze strutturali che oramai esistono fra le economie e le società dei Paesi Europei.

Ignorano entrambi che i popoli europei o superano la crisi insieme e insieme imboccano un nuovo e diverso sentiero di sviluppo sia umano che economico oppure insieme affondano, Germania compresa.

Ignorare il fatto che i paesi europei sono tutti necessariamente accumunati dallo stesso destino, confina entrambe le posizioni a rinchiudersi in una logica di fatto nazionalistica.

Solo un ritorno ad un miope egoismo nazionale può spiegare il paradosso della Germania, paese che non si può definire neoliberista per quanto riguarda la sua politica interna ma la cui classe politica usa ideologicamente il neoliberismo per assecondare gli istinti peggiori e le paure nemmeno tanto nascoste del suo elettorato. Quello che unisce la Merkel, Schulz, Le Pen, Grillo è in realtà la paura dell’Europa, la paura dell’Europa dei cittadini.

Mentre è proprio quello di cui abbiamo bisogno.

Per realizzarla dobbiamo imboccare un’altra strada, cercare un’altra Europa: l’Europa della “democrazia prima di tutto”.

Al momento sembra una strada nuova nell’asfittico panorama politico europeo ma a pensarci bene è un idea potente perché antica e fortemente radicata nella storia del nostro continente.

Le nazioni europee occidentali si sono sviluppate ottenendo risultati straordinari nel secolo scorso coniugando insieme mercati e democrazia. Il successo delle loro scelte era tutto nella forza del binomio competizione e cooperazione.

Lo possiamo chiamare, modello di stato sociale europeo, ma altro non è che il risultato di sistemi politico/istituzionali che permettevano di sfruttare la sinergia fra competizione e cooperazione, fra mercato e regolazione.

La globalizzazione ha messo in crisi questo meccanismo rendendo debole se non inutile la democrazia a livello nazionale. L’ideologia liberista, per ignoranza o malafede, ha combattuto il modello europeo ritenendo che la competizione possa prescindere dalla democrazia, illudendosi e illudendo che i mercati da soli  possano portare ad una crescita sostenibile (socialmente ed ecologicamente) e costante

L’intelaiatura istituzionale Europea è sbagliata perché parte da questo assunto errato: la democrazia e le istituzioni politiche sono un ostacolo alla crescita economica ed al libero operare delle forze del mercato. Per questo sono state immaginate non per trasferire a livello europeo le politiche economiche ed industriali nazionali, ma solo per limitare e vincolare le politiche statali imponendo loro paletti e barriere (con il Fiscal Compact si limita l’autonomia delle politiche fiscali, con la moneta unica si abolisce l’indipendenza monetaria, con il mito del mercato unico si penalizza l’utilizzo di politiche industriali nazionali).  Nell’idea tutta squisitamente ideologica che le politiche fossero inutili; la mano invisibile del mercato cura tutti i mali, sana le imperfezioni, annulla le differenze, ma questa è solo una favola e oggi se ne capisce la drammaticità.

Nei Paesi già sviluppati, l’indebolimento della politica ha determinato una sempre minore redistribuzione della ricchezza che non solo ha impoverito le classi medie e medio-basse ma ha anche ridotto la domanda aggregata ed è stata concausa importante della crisi.

La proposta di un’Europa della “democrazia prima di tutto” deve partire dall’idea che la più importante riforma strutturale di cui l’economia europea ha bisogno è la creazione di istituzioni democratiche europee.

E’ la democrazia il nostro più importante volano di sviluppo.

Il mercato da solo non basta. Non basta a garantire una crescita sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, ma non basta neanche a garantire una crescita economica di per se stessa.

Senza democrazia l’Europa muore e, con buona pace dei “benpensanti”, morirà anche il suo mercato.

Senza coerenza non c’è cambiamento

Cari Amici,

questo blog è rimasto silente per 22 mesi per una precisa scelta.

L’ultimo post infatti risale al 20 aprile 2012 nel quale notavo come in Italia le politiche che si stavano attuando stavano progressivamente accentuando la crisi che già mordeva, purtroppo non mi sbagliavo.

Il post precedente invece segnava la mia decisione, dopo 16 anni di esperienza ed impegno, di non ricandidarmi al Consiglio Comunale che di li a poco si sarebbe eletto.

Oggi, 20 febbraio 2014 lo scenario purtroppo non è affatto cambiato, le politiche nazionali continuano nella scellerata scelta di privilegiare i grandi investimenti e le rigidità contabili a discapito delle piccole e medie imprese e del potere di acquisto dei cittadini deprimendo ulteriormente i consumi interni.

A livello locale invece ci troviamo come 22 mesi fa, ovvero all’inizio di una nuova campagna elettorale. La giunta Di Mattia è finita esattamente da dove era cominciata: i presupposti della vittoria di “quel centrosinistra” erano stati i cambi di casacca e i cambi di casacca ne hanno decretato la sconfitta e la fine.

Oggi si parla di tradimenti quando invece sarebbe più opportuno parlare di conseguenze, perché a determinate scelte poi bisogna essere anche consapevoli e pronti a sopportare le inevitabili conseguenze che ne derivano.

Non ci sono stati fulmini a ciel sereno perché chi semina vento poi raccoglie tempesta, spesso mi piace citare Guccini quando canta che “le scelte si fanno per tempo e non per contrarietà”, risulta troppo comodo e poco onesto oggi dissociarsi e disconoscere responsabilità quando invece 22 mesi orsono chiunque aveva un minimo di buon senso aveva già compreso che alcune scelte erano solo ed esclusivamente dettate dalla necessità contingente di raccattare qualche voto in più pur di sedere in Consiglio Comunale e magari anche ottenere un assessorato.

Per far questo alcuni si sono comportati come le famose tre scimmiette: “non vedo”, “non sento” e “non parlo”.

Adesso quelle persone dovrebbero avere la decenza e la dignità di tacere.

Così come i cittadini dovrebbero finalmente armarsi di coraggio e scrollarsi di dosso le scelte fatte per convenienza, informarsi per poter scegliere senza turarsi il naso e utilizzare la testa ed il cuore.

Si sente spesso il “mantra” del voto utile, il problema è che andrebbe specificato utile a chi?

Il vero voto utile non è quello che consente di governare a tutti i costi bensì quello che consente alla città di dotarsi di amministratori capaci e preparati (l’onestà invece dovrebbe essere un pre-requisito e non una qualità).

Solo così il voto sarà utile a tutti e non a pochi.

Addio Keynes…

Il pareggio di bilancio, di fatto, sancisce l’illegalità del
keynesismo. Secondo Jhon Maynard Keynes, nei periodi di recessione, con la
‘domanda aggregata’ insufficiente, era lo Stato, tramite il deficit spending, a
far ripartire l’economia. Secondo questo principio, il deficit si sarebbe poi
ripagato quando la crescita fosse ripresa. Ora, impedendo costituzionalmente il
deficit di bilancio dello Stato – se non per casi eccezionali e comunque per
periodi di tempo limitati – tutto ciò sarà impossibile.

Da oggi il nostro paese abbraccia ufficialmente l’ideologia economica per la
quale la priorità è evitare il deficit spending, ossia che lo Stato possa
finanziare parte della domanda indebitandosi. Questa cosa può sembrare
apparentemente ragionevole per paesi indebitati come il nostro, ma in realtà è
assolutamente folle. Così facendo si stanno replicando gli errori drammatici
degli anni ’30: quando ci si trova alle prese con la recessione, oggi come
ottanta anni fa, accade che i privati investono meno. Ed è qui che sarebbe
fondamentale un deciso intervento pubblico, con investimenti che facciano in
modo che la ‘domanda aggregata’, cioè l’insieme dell’economia, aumenti, per
ripresa. Questi effetti benefici, poi, si riassorbirebbero negli anni a seguire
con effetti positivi sui conti pubblici. Ad esempio, con un maggior introito di
tasse, il governo avrebbe avuto un rientro maggiore. Da oggi, invece, questo
non sarà più possibile.

Per un paese come l’Italia significa che sarà impossibile
mettere soldi nei settori che invece richiedono un forte investimento. Ad
esempio nella cultura, nella ricerca o nelle infrastrutture ‘utili’. ‘Utili’
come la Salerno-Reggio Calabria, per intenderci, e non come il Ponte sullo
Stretto. Non è un caso se il nostro è un paese che per la ricerca spende meno
della media europea. Non è un caso se il nostro è un paese con un sistema
scolare e post-scolare che versa in condizioni drammatiche a causa dei tagli
iniziati nel 2008. Non è un caso se tra gli Stati europei il nostro è ai primi
posti, insieme ai paesi più arretrati d’Europa (in primis Portogallo e Grecia),
per bassa qualifica dei nostri lavoratori. Oggi abbiamo reso illegale il
‘deficit spending’. Questo significa che sarà impossibile investire ma
soprattutto attivare una serie di diritti previsti dalla nostra Costituzione:
il diritto alla scolarità che non deve essere ‘per ceto’, l’assistenza
sanitaria gratuita per tutti, il diritto a una serie di servizi alla persona.
Ora, interpretando la Costituzione facendo perno sull’articolo 81 come
modificato, tutti questi diritti primari non saranno più esigibili. O almeno
saranno subordinati all’articolo 81.

Il pareggio di bilancio, di fatto, è un attacco ai diritti di
base che dovrebbero essere costituzionalmente garantiti, il senso di questa
riforma costituzionale è che se uno ‘vuole’ dei diritti, se li deve pagare. Non
sarà più lo Stato a raccogliere risorse per i suoi cittadini. Peccato, però, che
guardando alla crescita economica di lungo periodo, per uscire da una crisi
come quella che stiamo attraversando, servirebbero tutta una serie di
investimenti che il privato non si sobbarcherà mai.

Per diverso tempo Tremonti all’epoca del suo dicastero
all’Economia ha ingannato i mercati facendo leva su false previsioni di
crescita, parlando di una crescita maggiore di quella che si sarebbe poi
verificata. Ma il meccanismo di queste ‘bugie’ era chiaro: si aveva bisogno
della crescita per far si che il deficit diminuisse. Comunque la si voglia
vedere, i dati di fatto da cui partire per analizzare le conseguenze di questa
riforma sono due. Il primo: con la crisi, sono diminuite le entrate fiscali e
sono aumentate le spese per gli ammortizzatori sociali. Il secondo: si continua
a incentrare qualsiasi analisi sul rapporto tra debito e Pil. Dove il debito è
il numeratore e il Pil il denominatore. Ma io posso far calare il numeratore
all’infinito (in questo caso, tagliando all’inverosimile la spesa pubblica), ma
se è il numeratore a diminuire più velocemente (e il Pil è la ricchezza
prodotta), ecco che il rapporto sarà sempre destinato a peggiorare. Sembra una
cosa evidente, ma per qualcuno al governo evidentemente non lo è. Basterebbe
ragionare partendo da questo aspetto per capire che una vera manovra per uscire
dalla crisi dovrebbe essere calibrata per fare in modo che si impedisca al Pil
di scendere. Cosa che, invece, puntualmente accade con ogni manovra di
austerity. Dopo i 55 miliardi di tagli di Berlusconi, siamo ai 30 miliardi di
tagli di Monti. Ma questi 85 miliardi di tagli hanno impattato fortemente sulla
crescita. Si è lavorato sullo ‘stabilizzatore keynesiano’ ma al contrario. E’
crollata la domanda privata, e di riflesso è crollata la domanda pubblica.
Così, di colpo, abbiamo settori di imprese rivolte al mercato interno in grave
difficoltà, mentre quelle imprese che lavorano sul mercato estero sono in
ripresa. Ma così si è soltanto indebolita l’economia italiana.

Qui la sfida è una crescita reale, possibile solo abbandonando
le ricette adoperate negli ultimi tempi. Se si riduce drammaticamente la spesa
pubblica in tempo di crisi, il futuro è la Grecia. C’è poco da girarci attorno.
Con i tagli su tagli, l’economia greca di obbedienza all’Unione europea è
crollata del 6,5% per tre anni consecutivi. E’ praticamente implosa. E il Pil
crollato. Il risultato, per fare esempi chiari da vita quotidiana, è che oggi
in Grecia si comprano il 20% in meno di medicine. E parliamo di un bene
essenziale. Con la Grecia si è andati dietro l’ideologia folle che nasce
dall’incomprensione di quanto è successo. Il debito pubblico non è la causa
della crisi, ma la sua conseguenza. Il debito pubblico nasce dal tentativo di
tamponare la crisi, ad esempio salvando le banche. Un esempio: la Germania ha
‘coperto’ le banche con qualcosa come 200miliardi di euro negli ultimi dieci
anni. Risultato: il debito pubblico tedesco è cresciuto di 750miliardi di euro
in dieci anni. La cosa bizzarra, però, è che i tedeschi hanno adottato misure
di compensazione del deficit spending per far fronte a questa situazione e nel
2009 hanno speso il 3% del Pil per salvare le loro imprese. Ebbene, quella
stessa Germania oggi impone il divieto di deficit spending ai paesi più deboli
dell’Unione europea.

C’è una sola via d’uscita: guardare meno al giorno per giorno e
progettare per il lungo periodo. Purtroppo il nostro governo tecnico nasce per
l’emergenza e non riesce a progettare nel lungo periodo, anche perché per farlo
servirebbe una larga investitura popolare. Ma se continuiamo a vivere
nell’emergenza, e questo governo continua a fare politiche ‘da stato di
emergenza’, è inevitabile infilarci in un tunnel senza uscita. Non è un caso
che per alcuni istituti il Pil quest’anno diminuirà del 2,6%, con una
diminuzione prevista per il prossimo anno del 2,9%. Stando così le cose, sarà
inevitabile dover ricorrere a nuove manovre di austerity. Ed ecco qui la
spirale, innestata proprio dal vincolo costituzionale del pareggio di bilancio.
Facendo due rapidi calcoli a partire dall’obbligo sancito dal ‘Fiscal compact’
di dover ridurre il debito pubblico del 5% annuo per quanto eccede il Pil del
60% – ovvero un ventesimo del Pil – ecco che per un certo numero di anni il
nostro paese sarebbe chiamato a manovre annuali di 45miliardi di euro. Senza
considerare quanto paghiamo di interessi sul debito: nel 2012 qualcosa come 72
miliardi di euro. Di fatto, l’Italia per i prossimi anni sarebbe costretta a
manovre, per ridurre il suo debito pubblico, di circa 120 miliardi di euro
l’anno. Una follia. O meglio, la perfetta ricetta per il disastro economico. Un
disastro motivato dall’assurda idea di fondo che si debba cancellare il debito
pubblico. Ma la realtà è un altra: nessuno ti chiede di azzerare il debito. Quello
che interessa i mercati, infatti, non è che il debito venga cancellato ma che
si stabilizzi.

L’obiettivo dovrebbe
essere non far crescere tendenzialmente il debito e far ripartire i consumi…
ma al governo di banchieri non interessa questo interessa salvaguardare i
grandi investimenti (soprattutto stranieri) a totale discapito non dei singoli
cittadini ma dell’intera nazione. AMEN

Avanti il prossimo !

E’ venuto il momento di rendere pubblica la decisione che da tempo ho maturato di non ricandidarmi alle prossime elezioni comunali del 2012.

Questa e’ una decisione del tutto naturale se si ragiona in una logica di innovazione ed evoluzione.

Dopo 16 anni di presenze in Consiglio Comunale ci sono motivi oggettivi (e soggettivi) per ritenere conclusa la mia esperienza come consigliere comunale della Città di Montesilvano.

Ho sempre sostenuto che tre mandati in un ente elettivo sono più che sufficienti e personalmente mi trovo al quarto (seppure il terzo è stato bruscamente interrotto dalla magistratura).
L’esperienza al Consiglio Comunale di Montesilvano, tra alti e bassi e nonostante tutto, è stata straordinaria, intensa, mi ha consentito di contribuire alla vita della nostra città ma anche di crescere personalmente, pertanto, ringrazio chi, in tutti questi anni, mi ha proposto e sostenuto, così come ringrazio le tante elettrici ed elettori che mi hanno aiutato e votato.
Se posso sperare e pensare di avere guadagnato almeno un pò di stima e di fiducia, purtroppo l’attività svolta è rimasta quasi sempre lì recintata. Un lavoro di grande autonomia svolto in solitudine. Esattamente il contrario di quanto dovrebbe accadere, vista la responsabilità, che non è individuale, ma collettiva.

Essere rappresentante di se stessi lascia una enorme libertà e produce soddisfazione. Ma i risultati ottenuti restano autoreferenziali, nella cerchia amicale, non sono oggetto di confronto né di verifica.

Purtroppo la nostra città non spicca in partecipazione (se non in fase elettorale) e neppure in indignazione, e vi posso assicurare che in questi 16 anni trascorsi come consigliere ci sarebbero stati molti casi per i quali quantomeno“indignarsi”.
Sono convinto che viviamo in una fase di transizione e mi auguro che si riprenda un percorso in cui ci si faccia carico dei problemi quotidiani delle persone con progetti che parlino al cuore e alla ragione, in cui si senta la forza delle idee.

Per quello che posso, cercherò di contribuire, ma in altra veste.

Non sto rinunciando a impegnarmi. Anzi. Lo farò ancora, per quanto e come potrò per una società più giusta, più democratica, aperta e solidale.

Il sistema istituzionale locale è profondamente malato e necessita di un forte ricambio nelle persone e nei comportamenti. Sono convinto che sia necessario un vincolo di mandato anche per i Consiglieri Comunali per impedire che le Istituzioni restino prigioniere di gruppi o autentici clan per evitare il consolidamento di un sistema di potere molto spesso clientelare e fuori dalle regole.

I Comuni come il nostro rischiano di essere definitivamente preda delle lobbies o peggio di piccoli gruppi di pseudo potere.

Occorre un grande ricambio generazionale a partire proprio dai piccoli enti per creare le condizioni di un generale rinnovamento delle classi dirigenti nel nostro Paese.

La classe dirigente. Vera e propria nota dolente della cosiddetta Seconda Repubblica, tranne rare eccezioni, figlia di quel ricambio generazionale vanamente evocato in periodi elettorali e puntualmente abortito ad urne chiuse.

Bisogna smetterla di parlare in prima persona e tornare al noi. Cioè pensare al bene della città prima che agli interessi e alle ambizioni personali, voglio che anche altri abbiano le opportunità che la militanza e la passione mi hanno dato.

Gli incarichi non sono a vita, è tempo di fare spazio.

Non ho la presunzione di voler fungere da esempio per altri ma semplicemente credo che sia giusto così.

In fondo ho sempre detto che non mi piaceva vedere sempre le stesse persone sedute negli stessi posti, mi riferivo soprattutto al Parlamento e al Governo dove cambiano le comparse (in una banda musicale si chiamano “camafri”) ma le prime donne, i padroni del vapore, sono sempre gli stessi, ma anche da queste parti ho visto parecchi padroni del vapore e scusate la schiettezza anche tanti, ma davvero tanti, penso anche troppi, camafri.

È troppo semplice puntare il dito contro gli altri e non riconoscere quando quello seduto sulla stessa sedia sei proprio tu, io penso di essere riuscito a vedermi e siccome odio chi predica bene e razzola male non posso che comportarmi coerentemente come ho sempre cercato di fare.

Ad maiora !

Cristian Odoardi

Ineludibile?

Sembra ineludibile ormai che l’unica via di uscita dalla crisi, che fino a pochi mesi fa in Italia abbiamo fatto finta non ci riguardasse, sia quella dei sacrifici dei soliti fessi.

Penso invece che non sia esattamente così e molte volte rileggere anche un po’ di storia faccia bene a noi tutti.

Giambattista Vico ci diceva nel suo libro “Scienza Nuova”:

« Gli uomini prima sentono il necessario; dipoi badano all’utile; appresso avvertiscono il comodo; più innanzi si dilettano nel piacere; quindi si dissolvono nel lusso; e finalmente impazzano in istrapazzar di sostanze »

a questa dissoluzione pone rimedio l’intervento della Provvidenza che a volte non può impedire la regressione nella barbarie, da cui si genererà un nuovo corso storico che ripercorrerà, a un livello superiore, poiché dell’epoca passata ne è rimasta una sia pur minima eredità, la strada precedente.

Ebbene, siccome stiamo, per “istrapazzar di sostanze”, forse è bene riconsiderare lo stato dei fatti cercando soluzioni se non del tutto alternative a quelle prospettateci dai partner
europei, anche se partner non è un termine che si addice molto bene, partner infatti è un termine inglese che si traduce letteralmente “compagno” ovvero chi è pronto a condividere il proprio pane (dal termine latino cum panem), pertanto visto che qui tutti sono pronti non a condividere il pane ma piuttosto a fregarlo al vicino o meglio al più debole, sarebbe più corretto parlare di soci europei in quanto partecipanti ad una comune impresa economica e nulla più. Purtroppo.

Proviamo a ricapitolare: La BCE ha chiesto all’Italia “misure” volte al taglio della spesa  sociale, dei diritti, delle pensioni, del numero degli impiegati pubblici e degli stipendi; per far questo si pensa di eliminare tutele dai licenziamenti per arrivare alla revisione generale se non all’eliminazione dello stesso contratto nazionale di lavoro; inoltre si prevede di privatizzare tutti i servizi pubblici e svendere beni e patrimoni.

Tutti i principali attori a partire da Confindustria fino agli schieramenti di centrodestra e centrosinistra, aderiscono, con convinzioni più o meno decise, a queste direttive con l’impegno a fare in fretta cercando una “larga condivisione” di queste misure di rigore che appaiono comunque a senso unico.

Siccome si è tutti d’accordo che è questa l’unica via di uscita perché perdere tempo  a cercarne di altre?

Non credo si tratti di perdere tempo e il motivo è un semplice assunto di fisica: se la via di uscita è una sola la pressione del fluido è massima, se le vie di uscita sono molteplici la pressione decresce suddividendosi tra le varie uscite a disposizione, quindi la ricerca di ulteriori possibilità è un obbligo per chi ritiene di poter governare un paese, magari non si troveranno altre vie d’uscita ma è necessario provarci prima di arrivare alla regressione nella barbarie.

Ho paura che queste direttrici, assunte come via di uscita unica, oltre a precarizzare ed impoverire ulteriormente coloro che già pagano questa crisi, possano generare ulteriore recessione e peggiorare lo stato dell’economia.

Questo modo di procedere sembra essere il frutto di sistemi predatori che fanno l’eco alla presa d’atto che in questo modello non ci sono soluzioni per una crisi peraltro generata all’interno dello stesso.

La storia può venirci in aiuto, ad esempio Franklin D. Roosevelt, divenuto presidente degli Stati Uniti nel 1932 nel pieno della crisi iniziata nel 1929, nei primi 100 giorni del suo mandato ha fatto approvare dal Congresso americano una serie di provvedimenti volti a creare un avanzato sistema di sicurezza sociale, ha legittimato il ruolo dei sindacati, ha introdotto una rigida regolamentazione dell’attività bancaria, ha allargato la presenza dello stato nell’economia (al fine di contrastare la disoccupazione e per dare impulso alle infrastrutture) ed ha promosso le svalutazioni competitive.

I primi provvedimenti di Roosvelt furono:

1 ) svalutazione del dollaro per rialzare il livello dei prezzi
2 ) lavori pubblici finanziati dallo Stato per il graduale ma costante riassorbimento della disoccupazione
3 ) salari minimi garantiti e riduzione dell’orario di lavoro: tutti lavoravano;

4 ) prezzi minimi ai prodotti e blocco della concorrenza sleale nel commercio;

5 ) nessun limite ai sindacati e obbligo per gli imprenditori a trattare.
6 ) Controllo e riorganizzazione da parte Stato del sistema bancario con particolare attenzione alla  sorveglianza delle borse e del mercato azionario
7 ) Politica energetica volta a sfruttare le forze idroelettriche su una vasta area a vantaggio dei consumatori e dell’elettricità a minor prezzo rispetto alle compagnie private.

8 ) l’emanazione dell’Agricultural Adjustement Act che tramite una serie di incentivi mirava a limitare la sovrapproduzione agricola che aveva causato una drastica caduta dei prezzi a danno di milioni di agricoltori

9 ) l’approvazione del National Industrial Recovery Act che imponeva l’adozione per ogni azienda di un codice di disciplina produttiva limitando la sovrapproduzione, rinunciando al lavoro nero e a quello minorile.

10) l’emanazione di una riforma fiscale che inaspriva le imposte per i ceti più elevati
Questo piano fu elaborato con l’aiuto di studiosi e politici, quello che venne chiamato il brain trust.

Inoltre egli favorì la sindacalizzazione dei lavoratori e il sistema nazionale di previdenza per assicurare la pensione; istituì un controllo federale della attività bancarie, un controllo dei rapporti tra le società finanziare e le imprese di pubblica utilità. Le organizzazioni sindacali appoggiarono l’operato di Roosvelt fino alla sua rielezione nel 1936.

Queste politiche fecero il paio con le teorie dell’economista inglese Keynes che sostenne la politica interventista statale contro il conservatorismo politico dei governi europei; puntare su una più vigorosa politica di spesa pubblica da realizzare con deficit di bilancio (e non con nuove tassazioni).

L’obiettivo era quello di aumentare l’occupazione, il potere di acquisto nazionale e stimolare la ripresa degli investimenti privati e di fondamentale importanza fu il ruolo della Banca centrale.

Nella Teoria generale, Keynes afferma che sono giustificabili le politiche destinate a stimolare la domanda inperiodi di disoccupazione, ad esempio tramite un incremento della spesa pubblica.

Keynes non ha piena fiducia nella capacità del mercato lasciato a se stesso di esprimere una domanda di piena occupazione, ritiene necessario che in talune circostanze sia lo Stato a stimolare la domanda. Ciò potrà essere finanziato anche tramite politiche di deficit di bilancio; l’indebitamento pubblico, sotto determinate ipotesi, non aumenterà il tasso di interesse al punto di scoraggiare l’investimento privato.

Queste linee risultarono vincenti e il cosiddetto “New Deal” trainò fuori dalla crisi mondiale prima gli Stati Uniti epoi il resto del mondo, ovviamente oggi non è ne pensabile ne possibile applicare queste direttrici in maniera totale e univoca ma comunque possono e quantomeno dovrebbero essere di spunto e riflessione per correggere il tiro delle proposte che sono state messe in campo e che già appaiono deboli e controverse.

Il principale problema dell’economia italiana non risiede nell’elevato volume del debito pubblico, ma  soprattutto nella bassa crescita economica, occorre coniugare rigore di bilancio con misure che incentivino consumi e investimenti, ciò è molto difficile da raggiungere, ma si possono porre alcune considerazioni.

Gli investimenti dipendono in larga  parte dalle aspettative degli imprenditori, ma è difficile immaginare interventi di politica economica che, per soli effetti di annuncio, ne producano l’aumento, quindi a mio modo di vedere è più efficace, almeno nel breve periodo, provare ad agire sui consumi.

Si può partire dalla constatazione per la quale la bassa crescita dell’economia italiana è in larga misura imputabile alla modesta capacità di spesa delle famiglie, a sua volta connessa al basso livello dei salari (e alla continua riduzione del loro potere di acquisto). Ma  questo non è un prodotto dalla crisi in corso.

Il Fondo Monetario Internazionale stima che, negli ultimi dieci anni, il tasso di crescita in Italia si è assestato a un modesto 2.43% e che il PIL pro-capite resta ai livelli del 1998, a fronte di una crescita media nell’eurozona di oltre 10 punti percentuali superiore nel periodo considerato.

Con riferimento ai salari, l’OCSE registra che lo stipendio netto di un lavoratore italiano è di circa 1.300 euro al mese, a fronte dei 2.800 euro al mese di un suo collega inglese. Il salario medio di un lavoratore tedesco è di circa il 24% superiore a quello di un lavoratore italiano e quello di un francese di quasi il 18%.

Fra i 30 Paesi industrializzati presi in considerazione, l’Italia si colloca al 23esimo posto per livello medio delle retribuzioni, seguita solo da Portogallo, Turchia, Repubblica Ceca, Messico, Slovacchia e Ungheria.

Le misure di precarizzazione del lavoro spiegano parte del problema, e non vi è dubbio che la riduzione della sicurezza dei lavoratori ha significativamente contribuito alla riduzione della quota dei salari sul prodotto interno lordo, contribuendo a ridurre il tasso di crescita e l’occupazione.

Questo è spiegabile con almeno due assunti:

1) La precarietà disincentiva le innovazioni.

Se un’impresa può ottenere profitti mediante la flessibilità della forza lavoro, comprimendo i salari e i costi connessi alla tutela dei diritti dei lavoratori, non ha alcuna convenienza a utilizzare risorse per finanziare attività di ricerca e sviluppo. Ricerca e sviluppo danno inoltre risultati di lungo periodo, non compatibili con la competizione su scala globale. La riduzione delle innovazioni riduce il tasso di crescita e quindi la tutela sociale del lavoro dipendente. Inoltre si fa un gran parlare della cooperazione fra lavoratori all’interno di un team per aumentare la produttività del lavoro ma in condizioni nelle quali è elevato il grado di incertezza in ordine al rinnovo del contratto di lavoro, è ragionevole ritenere che la cooperazione fra lavoratori si riduca. In tal senso, la “flessibilità” contrattuale tende a promuovere la competizione (o il conflitto) fra lavoratori, riducendo la produttività del team.

2) La precarietà riduce la propensione al consumo.

La somministrazione di contratti a tempo determinato accresce l’incertezza dei lavoratori in ordine al reddito futuro. Al fine di mantenere un profilo di consumi nel tempo quanto più possibile inalterato è ragionevole attendersi un aumento dei risparmi oggi per far fronte all’eventualità di dover consumare domani senza reddito da lavoro. Le conseguenze ipotizzabili sono due: da unlato, le imprese fronteggiano una domanda di beni di consumo in calo; dall’altro, possono produrre quantità maggiori di beni e servizi con un numero inferiore di lavoratori. L’esito inevitabile è il licenziamento o la non assunzione.

La somministrazione di contratti a tempo indeterminato consentirebbe invece la crescita della domanda anche per il tramite della maggiore solvibilità dei lavoratori e del più semplice accesso a finanziamenti bancari e si può ipotizzare un effetto positivo, in prima battuta sulla domanda di abitazioni e, a seguire, sull’indotto in quel mercato.

Se si intende far riprendere la crescita economica in Italia senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, non si dovrebbe escludere ciò che l’evidenza teorica ed empirica suggerisce e trarne le dovute conseguenze: riscrivere la legge 30/2003 (la cosiddetta Legge Biagi) che tra l’altro sarebbe un’operazione a costo zero.

Oltre che rilanciare la crescita è necessario creare meccanismi efficaci per regolamentare i mercati finanziari mediante una maggiore sorveglianza macroeconomica, compresi i meccanismi di allerta e sanzione, per bloccare la speculazione cambiando trattati e regole per consentire una radicale ristrutturazione del debito, tagliando ad esempio quello nei confronti dei fondi speculativi e delle banche che hanno beneficiato degli aiuti pubblici per poi tornare a speculare. Sono necessarie inoltre misure volte  alla tassazione delle transazioni finanziarie e il blocco delle famigerate vendite di titoli “allo scoperto”.

E’ altrettanto indispensabile che ci sia una netta distinzione tra banche commerciali (finalizzate al credito) e banche d’affari (speculative).

C’è bisogno di aprire nuove linee di credito (tramite eurobond, nuova moneta, tobin tax) per la riconversione ecologica dell’economia. bisogna operare grandi e nuovi investimenti sulla conoscenza. Grandi piani industriali e programmi nazionali: sull’energia da fonti diffuse e rinnovabili, sui trasporti e la mobilità sostenibile, l’agricoltura biologica, l’efficienza energetica degli immobili pubblici e privati, sulla difesa del territorio.
Per rilanciare una diversa economia, più centrata sulle risorse, vocazioni e aspirazioni dei territori, è indispensabile però determinare subito una drastica redistribuzione delle ricchezze attraverso politiche fiscali che colpiscano i grandi patrimoni immobiliari e finanziari, l’evasione e i paradisi fiscali.

In Italia negli ultimi decenni sono cresciuti a dismisura gli squilibri tra i pochi che posseggono tanto e i tanti sempre più poveri e precari. Il debito pubblico è gonfiato da sprechi e privilegi, spese militari, grandi opere dannose, finanziamenti a imprese che poi delocalizzano, licenziano, precarizzano il lavoro, debito che continua a galoppare a causa degli interessi a tasso da usura applicati ad esso da chi oggi ci vorrebbe ricattare e ad i quali a nostra volta possiamo fare pressioni perché, è utile ricordarlo, nostra insolvenza improvvisa e generalizzata travolgerebbe tutte le economie europee, l’Euro e la stessa U.E.

E’ di fondamentale importanza quindi che la politica recuperi il potere che essa stessa ha ceduto ai mercati ed alla finanza non capendo che il processo di cannibalizzazione è insito nell’uomo e non nei sistemi. Dobbiamo ri-democraticizzare la politica tornando ad un sistema elettorale proporzionale e proponendo strumenti utili al coinvolgimento dei cittadini, lavoratori, utenti, nelle scelte sui beni comuni ed i servizi che attengono i diritti basilari.

Il compito della politica italiana sta nel cercare un nuovo equilibrio partendo dalla inevitabilità della rottura dell’equilibrio esistente come conseguenza delle riforme, riforme che abbiano la funzione generatrice per la collettività di rendimenti superiori al costo delle riforme stesse.

Se a qualsiasi forza seria di sinistra, si chiede di rinunciare all’obiettivo di riforma del meccanismo di sviluppo esistente, si chiede qualcosa che nessun uomo della sinistra degno di questo nome potrà mai dare, pena la rinuncia ad una fondamentale e caratterizzante posizione.

A partire dal risanamento del settore pubblico, disarticolato da anni di troppo facile ed allegra amministrazione, è condizione del successo della sua politica, impegno riformatore non minore di altri, se la politica di centro-sinistra vuole avere per sé l’avvenire.

Ma se volere riformare un meccanismo di sviluppo esistente significa non volerlo distruggere, ma perseguirne il potenziamento dell’esistente, allora la sinistra italiana avrà fallito.

Per ottenere un nuovo equilibrio è necessario distruggere quello esistente, è necessaria una netta discontinuità con il passato sia nei metodi ma anche negli uomini che sono portatori dei metodi.

Cristian Odoardi

le scelte si fanno per tempo e non per contrarietà…

Le tasse sulla casa, invece di scendere, come hanno sempre detto i berluscones, sono destinate a salire. Nonostante l’eliminazione  dell’Ici sulla prima casa, avvenuta nel 2008, ora con la manovra finanziaria le tasse sugli immobili torneranno a crescere, infatti l’Irpef tornerà ad interessare l’abitazione principale ma solo dal 2013 in poi… per la serie se la veda il prossimo governo con il malcontento dei cittadini meno abbienti.

La clausola di salvaguardia contenuta nella manovra varata nei giorni scorsi prevede infatti un taglio delle agevolazioni fiscali, detrazioni e deduzioni, del 5 per cento nel 2013 e fino al 20 per cento nel 2014. Un meccanismo che è già legge dello Stato e che entrerà in vigore se non sarà varata la riforma del Welfare.

E tra le agevolazioni, una delle più in vista è proprio la deduzione integrale della rendita catastale dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale, cioè la prima casa e relative pertinenze. Di conseguenza la rendita catastale (tariffa d’estimo della zona relativa per numero dei vani rivalutata del 5 per cento) attualmente, grazie ad una norma introdotta dal centrosinistra nel 2001, non concorre a formare l’imponibile Irpef.

dal 2013 le cose cambiano. Con il taglio previsto al momento della compilazione della denuncia dei redditi i proprietari della casa di abitazione dovranno sommare al proprio imponibile Irpef anche il 20 per cento del valore della propria casa, ovvero della rendita catastale.

Una stangata che colpirà 24 milioni e 200 mila italiani, possessori di prima casa.

Quindi prima si è sbandierata l’eliminazione dell’ICI sulla prima casa (norma che ha tolto soldi ai Comuni), e ora si introduce una tassazione sulla prima casa che però andrà direttamente nelle casse dello Stato (i Comuni ricevono solo una compartecipazione Irpef), ma questo accadrà dal 2013 in poi quindi quando presumibilmente al governo ci saranno altri che faranno i conti con la delusione degli italiani, perché purtroppo la massa si accorgerà di questa cosa solo quando effettivamente la pagheranno perché normalmente si è troppo impegnati a guardare il grande fratello in tv…

Cominciamo a dirle queste cose, parliamone, scriviamole, condividiamole usando internet che è l’ultima risorsa “libera” che ci resta ma che se usata bene può essere il fulcro di una consapevolezza che spesso non fa comodo avere perché mette di fronte a realtà sgradite… è semplice fare spallucce ed essere menefreghisti fin quando poi non ci si scontra con la dura realtà.

Un grande cantante e poeta diceva “le scelte si fanno per tempo e non per contrarietà…”